Matematico, considerato uno dei padri dell'informatica e dell'intelligenza aritificiale, contribuì alla sconfitta di Hitler.
Alastair Denniston era a capo del Government Code and Cipher School (GC&CS) dal 1919. Di volti nuovi, in venti anni di onorata carriera nel servizio criptoanalitico, ne aveva visti sempre pochi. Paga scarsa e lavoro tutt'altro che entusiasmante rendevano le sale del quartiergenerale del GC&CS tutt'altro che affollate. Ma in quell'estate del '38, alle soglie del secondo conflitto mondiale si trovò di fronte un ben più vasto campionario di intelligenze, invitate per essere selezionate per la più grande opera di spionaggio della storia.Tra queste persone, si materializzò, sceso da un transatlantico proveniente da oltreoceano, uno che incarnava tutti i peggiori timori di Denniston su quel vasto campionario di aspiranti agenti segreti: un matematico.
Come molti colleghi appartenenti alla GC&CS, Denniston considerava i matematici gente troppo strana e fuori dalla realtà per poter servire alla causa, ma quel bizzarro personaggio li batteva tutti. Il capo operativo della GC&CS ancora non lo sapeva, ma quel matematico dall'aspetto non proprio impeccabile e dalla voce insopportabilmente stridula, sarebbe riuscito laddove le armate di sua maestà avrebbero fallito: sconfiggere i terribili sottomarini U-Boot di Hitler e far volger le sorti del conflitto in favore degli Alleati.
Se per Denniston, Alan Mathison Turing era il peggior concentrato di timori con il quale avesse mai avuto a che fare, per la comunità scientifica era invece il matematico che aveva pubblicato un articolo rivoluzionario all'interno del quale si nascondeva un'intuizione di rara bellezza: l'idea della macchina universale. Era la primavera del 1936 quando Turing attraversava correndo il viale del King's College in quel di Cambridge per consegnare quel suo articolo. Il "Prof." come lo chiamavano i suoi vicini, era tutto fuorchè uno studente modello. Adorava correre, andare in bici, fare canottaggio; era un ottimo maratoneta ma era anche un tipo assai particolare e per questo molto poco amato. Trasandato e sporco, si presentava a lezione con il pigiama o giocava a tennis solo con un impermeabile. Andava in biblioteca alle ore più impensabili lasciando tutti i libri sparpagliati per la disperazione del custode. A volte era persino sgradevole nel relazionarsi con gli altri e non esitava ad abbandonare l'interlocutore qualora la conversazione non fosse di suo interesse. Questo era il mondo di Alan Turing tra le mura del King's College. E fu in questo mondo che immaginò che le macchine potessero pensare.
Alan Turing era giunto a Cambridge nel 1931; vi giunse, in un certo senso, per amore. Nato il 23 giugno 1912 da un impiegato del servizio civile britannico in India, secondo di due figli, era stato spedito in un convitto inglese all'età di nove anni dalla madre che giudicava l'ambiente indiano inadatto all'educazione dei figli. Nulla nella tipica educazione inglese poteva assecondare e ispirare un ragazzino chiuso e sensibile come Alan. Di certo non fu un'infanzia particolarmente felice. Amava inventare esperimenti di chimica, sdraiarsi e osservare il passaggio delle nuvole oppure, come avrebbe ricordato la madre, "guardar crescere le margherite". Leggeva moltissimo e aveva una spiccata intuizione, ma gli insegnanti avevano di lui una pessima reputazione. Sebbene alcuni insegnanti avessero annotato "Alan Turing ha dimostrato di avere attitudini non comuni e notare gli aspetti meno evidenti di certe questioni…", su di lui non si riversava alcuna speranza perché, come scrisse il preside della scuola dove si diplomò, Turing era destinato a "essere il tipo di ragazzo condannato a rappresentare un problema in ogni tipo di scuola e comunità".
Diplomatosi con difficoltà, nel 1931 giunse a Cambridge. La strada che lo portò al prestigioso istituto aveva un nome, Christopher Morcom. Lo conobbe nel 1928 e tra i due fu immediato feeling. Turing era tanto pasticcione, irritante, geniale e bizzarro, quanto l'altro era gentile, raffinato, intelligente, in breve uno studente e un figlio modello. I due, mistero delle grandi amicizie, legarono fortemente ed era facile trovarli a discutere di alti problemi scientifici o a scherzare goliardicamente.
Nel febbraio 1930, l'amicizia si interruppe nel modo più drammatico; il grande amico di Alan, sofferente di tubercolosi, morì dopo aver trascinato la malattia per anni. Turing fu sconvolto. Scrisse alla madre di Cristopher numerose lettere nelle quali cercava di confortare la donna. Voleva dimostrare che lo spirito del giovane era ancora vivo seppur separato dal corpo. Tali riflessioni erano supportate dalla convinzione che la meccanica quantistica avrebbe potuto permettere tale possibilità. A tal proposito decise di approfondire le problematiche che iniziarono a serpeggiare nella nuova descrizione del mondo dettata dalla fisica quantistica. Ma non si fermò. Decise fermamente di entrare al College come se volesse rendere l'ultimo omaggio all'amico scomparso. Nel 1931 riuscì a ottenere una borsa di studio al King's College di Cambridge, ebbe modo così di essere allievo di Eddington, Hardy, Shaw e Russell e di conoscere uno degli amori più grandi della sua vita: il teatro, in particolare lo spettacolo Biancaneve e i sette nani. Per settimane canticchiò il ritornello che accompagnava la scena nella quale la strega cattiva immergeva la mela nella pozione avvelenata. Un ritornello che lo accompagnerà fino all'ultimo dei suoi giorni.
Nel 1934 Alan si laureò in matematica con ottimi voti, assecondato da professori che avevano capito il genio estroso di quell'allievo tanto eccentrico. In questo ambiente ricco e stimolante, che lo accolse senza condannare le sue stramberie, Turing attraversò di corsa quel viale con il suo articolo più celebre, quello che lo avrebbe innalzato al rango di uno dei pensatori più brillanti del secolo: Sui numeri computabili con una applicazione al entscheidungsproblem. Con questo articolo Turing si era cimentato con una questione che il grande matematico David Hilbert aveva lanciato al mondo scientifico alcuni anni prima.
Nel 1928, infatti, al termine di una straordinaria carriera che lo aveva portato a essere un'autorità assoluta, Hilbert rinnovò la sfida che aveva lanciato quasi trenta anni prima quando aveva individuato ventitré punti sui quali la matematica e i matematici avrebbero dovuto confrontarsi in futuro. Le questioni che rilanciò si concentrarono sugli aspetti fondamentali della matematica, soffermandosi su tre problemi: quello della coerenza, quello della completezza e quello della decidibilità o entscheidungsproblem.
I primi due furono risolti da Gödel. Il terzo da Alan Turing, alla sua maniera, inventando una macchina immaginaria. La domanda a cui dare una risposta era questa: esiste sempre un modo rigoroso di stabilire se un enunciato matematico sia vero o falso? La logical computing machine, o più semplicemente macchina di Turing, è costituita da un nastro di carta scorrevole diviso in caselle, un pennino e un apparecchio che ha la possibilità di compiere quattro operazioni: far scorrere il nastro in avanti, indietro, segnare una casella vuota con una x, oppure cancellarne una quando la incontra. Tutto qui. Turing intuì che una macchina così fatta, opportunamente istruita dal suo costruttore, ossia opportunamente munita di un "programma", poteva effettuare una infinità di operazioni poiché era in grado di imparare. Anzi, la macchina di Turing poteva risolvere qualsiasi calcolo che fosse calcolabile in maniera meccanica cioè in un numero finito di passi utilizzando un numero finito di simboli.
In altre parole, la straordinaria intuizione di Turing fu che una macchina come quella che lui aveva immaginato poteva effettuare qualunque operazione fosse rappresentabile mediante un algoritmo. Insomma era una macchina universale. Il moderno concetto di computer come noi lo intendiamo era appena nato. La macchina di Turing poteva mettere delle crocette su un nastro di carta ma poteva anche giocare a scacchi, analizzare frasi e anche dare una risposta al quesito di Hilbert. Turing dimostrò che esisteva una classe di problemi matematici sulla quale la macchina non sarebbe stata in grado di dare una risposta; o meglio, che esisteva una categoria di affermazioni matematiche per le quali era impossibile sapere in anticipo se il calcolatore si sarebbe fermato per dare una risposta o avrebbe continuato per un tempo indefinito. Hilbert aveva ottenuto la sua risposta: se per il calcolatore, che poteva rappresentare il linguaggio della matematica, esistevano problemi "indecidibili", allora la risposta al quesito era NO, non è possibile stabilire in maniera certa e meccanica la verità o la falsità di tutti gli enunciati matematici.
Il primo al quale Turing presentò il suo lavoro in quell'aprile del 1936 fu A. Newman, brillante topologista di Cambridge. Newman era sconcertato. Stentava a credere al risultato di Turing. Troppo brillante e alternativo. Purtroppo però altri erano riusciti ad avere la meglio sul quesito di Hilbert. Fu lo statunitense Alonzo Church che all'interno di un lavoro molto complicato riuscì a dimostrare quello che Turing aveva fatto con la sua macchina immaginaria. Ma Church era abituato a muoversi in ambienti accademici e non esitò a pubblicare il suo lavoro mentre Turing si era limitato, come al solito, a fare il genio solitario.
Newman allora scrisse una lettera sincera e aperta al matematico statunitense ove mostrata l'originalità dell'approccio di Turing.
Church lesse la lettera e si comportò da vero gentiluomo. Ammise che le argomentazione di Turing erano migliori delle sue e invitò il giovane matematico a Princeton. Sul finire di settembre 1936 Alan Turing si imbarcò per gli Stati Uniti alla volta della prestigiosa università di Princeton. Von Neumann, Weyl, Einstein, erano i mostri sacri che attraversavano i corridoi dell'istituto per il quali, con passo incerto, si avventurò anche Turing.
Ma l'esperienza durò poco e non fu particolarmente apprezzata. Continuò a lavorare su problemi di logica matematica, migliorò alcuni teoremi di Church e si dedicò ad alcune implicazioni del teorema di incompletezza di Gödel. Sebbene avesse iniziato ad essere piuttosto famoso, Turing rimase estraneo all'ambiente di Princeton; lavorava da solo, legava poco, era spesso stanco e depresso, angosciato da una tesi che non aveva alcuna voglia di scrivere e deluso dal fatto che i mostri sacri che circolavano lì dentro erano in realtà per lui ombre sfuggenti e irraggiungibili. Tranne uno. Il grande Von Neumann si accorse che quel giovane nascondeva sotto un atteggiamento non particolarmente socievole grandi potenzialità e decise di proporgli di divenire suo assistente. Roba di cui essere fieri per il resto della vita. Ma a Turing non interessò. A fine maggio discusse la tesi e poco dopo si imbarcò per tornare in patria. Il 18 luglio del 1938 sbarcò a Southempton dal transatlantico Normandie.
Aveva portato con se, oltre le sue stranezze, una misteriosa macchinetta messa a punto nella sua stanza di Princeton tra una lezione e l'altra. Nel periodo americano, infatti, Alan si era appassionato ai codici segreti. Scrisse alla madre quale poteva essere una delle applicazioni della matematica "…trovare quale sia il codice cifrato più generale possibile e costruire codici particolari e interessanti". Nel disordine della sua camera Turing mise in pratica la sua idea costruendo un marchingegno cifrante in grado di moltiplicare tra loro due lunghi numeri binari, uno era un testo in chiaro, l'altro la chiave.
Moltiplicati tra di loro davano il testo in codice. Secondo Turing la chiave poteva essere così lunga che avrebbero potuto scoprirla solo "cento tedeschi che lavorano con un calcolatore meccanico otto ore al giorno per cento anni", come raccontò il fisico Mac Phail amico di Alan. E non a caso, parlando con il collega, Turing si riferì ai tedeschi. Accanto alla passione per i codici segreti crebbe in lui l'avversione per il nazismo. Fu con questo strano miscuglio di genialità e abilità pratica supportato dal terrore verso i nazisti che si presentò nelle sale del GC&CS di Alan Denniston nella tarda estate del 1938. Meno di un anno dopo Turing, ufficialmente borsista al King's College, fu assoldato dai servizi segreti britannici, per compiere una grande impresa.
Gli agenti di sua maestà stavano impazzendo di fronte a un problema apparentemente irrisolvibile ma dal quale potevano dipendere le sorti di un mondo che stava piombando verso la catastrofe. Il problema si chiamava Enigma.
L'incubo degli Alleati aveva le forme e le dimensioni di una macchina da scrivere incastrata dentro una scatola con coperchio. Serviva alla forze dell'Asse per scambiarsi messaggi cifrati. Fu inventata negli anni venti dall'ingegnere tedesco Arthur Scherbius che intendeva mettere a disposizione la sua creazione a industriali desiderosi di proteggere i loro segreti. L'invenzione non ebbe fortuna e tutte le aziende che ne acquistarono il brevetto ne dovettero constatare il fallimento. Eppure la macchina era un piccolo gioiellino. Dopo avere immesso il testo da cifrare mediante la tastiera, una serie di dischi ruotanti muniti ciascuno di 26 contatti elettrici su ciascuna faccia, modificava la lettera in uscita; questa veniva spedita a una sorta di riflettore che inviava nuovamente la lettera sui dischi ruotanti per fare il percorso inverso. Avendo la possibilità di scambiare i dischi e di alterare la posizione dei 26 contatti, si otteneva che il testo in entrata veniva codificato in maniera del tutto casuale per chi lo leggeva e senza una apparente chiave di lettura.
Questa macchinetta attrasse l'attenzione del servizio segreto tedesco che decise di acquistarla. Per gli esperti del Reich Enigma era inattaccabile, un'assoluta sicurezza. Si sbagliavano. Negli anni trenta tre matematici polacchi riuscirono a decifrare Enigma, e leggere così il traffico segreto dei tedeschi. Ma agli inizi del '39 la situazione cambiò radicalmente e i Polacchi si ritrovarono al buio. I tedeschi avevano reso ancor più complicato il marchingegno, aggiungendo nuove ruote dentate e, alla fine, anche un pannello di commutazione munito di spinotti che garantiva una serie infinita di combinazioni. Miliardi e miliardi di combinazioni rendevano i messaggi delle forze armate di Hitler di nuovo al sicuro da sguardi indiscreti. I polacchi a questo punto chiesero aiuto agli inglesi. Mentre i carri armati con la croce uncinata e i famigerati U-Boot iniziarono a imperversare per mare e per terra, il CG&GS trasferì la sua sede fuori Londra, in una villa di stile vittoriano a 80 km dalla capitale.
"Terrificante" e "orrenda" erano gli aggettivi più usati per descrivere la nuova dimora di Bletchey Park, laddove si consumò la più grande opera di spionaggio della storia. Fu in questo posto che Alan Turing poté dare il suo enorme contributo alla causa alleata. Il matematico e i suoi collaboratori iniziarono a studiare il problema e già alla fine del '40 furono in grado di costruire un apparecchio elettromeccanico in grado di simulare una macchina Enigma. Il traffico di messaggi segreti non poteva ancora essere letto in tempo reale ma dopo poco tempo Turing riuscì a rendere più veloce ed efficiente, di ben 26 volte, la macchina inventata dai polacchi alcuni anni prima, quella che fu chiamata "bomba". Con l'invenzione di Turing fu possibile leggere tutto il traffico segreto della Luftwaffe, l'aviazione tedesca. Quello della marina continuava, però, a essere inespugnabile.
I mercantili con i rifornimenti continuavano a colare a picco sotto i colpi degli U-Boot, rendendo la situazione degli alleati disperata. Ma Turing, coadiuvato da un team affiatato ed esperto formato da matematici, professori di tedesco e di storia, maestri di scacchi e giocatori di cruciverba riuscì a risolvere l'enigma navale. Costruì un congegno elettromeccanico enorme, Colossus, un mastodonte fatto di relè, fili e motori elettrici in grado di decifrare il codice segreto tedesco. Nel 43 la guerra prese decisamente un'altra direzione. Gli alleati potevano sapere in anticipo le mosse del nemico. I famigerati "branchi di lupi" come erano state soprannominate le piccole flotte di sottomarini che infestavano i mari del pianeta furono trovati, braccati e distrutti. La guerra era vinta.
Al termine della guerra, nel 1946, Turing fu insignito di un'alta onorificenza militare, l'Ordine dell'Impero Britannico. Turing era un eroe e ben pochi sapevano il perché. Dovranno passa altri 30 anni prima che il mondo venga a conoscenza di questa vicenda e dei suoi protagonisti.
Dopo il conflitto Turing fu assunto dal National Phisical Laboratory (NPL) dove, con i mezzi messi a disposizione dal laboratorio, si dedicò alla costruzione della sua macchina universale. Progettò un vero e proprio computer, ACE, Automatic Computer Engine. Ma non fu capito, né aiutato. Erano passati i tempi di Bletchey Park; burocrati, politici e politicanti, scarsa collaborazione e, soprattutto, scarso rispetto per le sue idee, mortificarono l'eroe di guerra che pertanto decise di abbandonare la posizione e tornare a Cambridge. Prima di tornare nel posto che lo aveva scientificamente battezzato, Turing lavorò a Manchester alla progettazione della macchina MADAM (Manchester Automatic Digital Machine), sviluppandone gli algoritmi e i programmi. Si era convinto che entro l'anno 2000 i computer avrebbero potuto replicare il funzionamento del cervello umano.
Nel '47 era di nuovo a Cambridge. Riprese con entusiasmo a lavorare, dedicandosi anche alla neurologia e alla fisiologia. E riprese a correre moltissimo, tanto da poter vantare tempi da selezione olimpica. Si innamorò anche, stavolta ricambiato, di uno studente del college.
Intanto era pronto a sorprendere il mondo un'altra volta: "dobbiamo porci la questione di quanto, in linea di principio, sia possibile per una macchina calcolatrice simulare l'attività umana". Per Turing il calcolatore era come la mente di un bambino: pronta a imparare. Arrivò a ipotizzare macchine capaci di percepire l'ambiente esterno e ricavarne informazioni per mezzo di telecamere, sensori, microfoni ruote e quant'altro potesse farle muovere nell'ambiente circostante. E come il bambino impara a conoscere il mondo giocando, così anche il computer si sarebbe dovuto esercitare, apprendendo attraverso il gioco degli scacchi, il filetto, la logica matematica, i codici segreti. Nel 1950 pubblicò un altro articolo rivoluzionario, Computing Machinery and Intelligence, apparso sulla rivista "Mind". Turing esordì così: "Propongo di considerare la domanda: possono le macchine pensare?". La sfida era lanciata. I semi dell'I.A., l'Intelligenza Artificiale, appena germogliati. Nell'articolo, l'autore inventò quello che è conosciuto come "test di Turing". Ci sono tre giocatori chiusi in stanze differenti, senza avere la possibilità di vedersi, muniti di tastiera e di uno schermo. Uno dei tre partecipanti ha il compito, attraverso una serie di domande, di individuare chi degli altri due è un maschio e chi è la femmina. I due giocatori in questione, da parte loro, possono mentire spudoratamente alle domande. A questo punto possiamo pensare di sostituire un giocatore umano con una macchina.
Cosa accadrebbe allora all'esaminatore? Sbaglierebbe l'identificazione una percentuale di volte analoga al caso con soli umani? Riuscirebbe a individuare la macchina? Qualora non vi riuscisse non avrebbe forse confuso un umano con una macchina e viceversa? Non si potrebbe affermare che, se l'esaminatore non riuscisse a individuare la macchina in un tempo ragionevole, la macchina possa essere intelligente? Le osservazioni di Turing colpirono nel segno e la discussione non tardò a infuocarsi.
Un aspetto poco noto delle ultime ricerche di Turing riguardò la biologia. Nel 1952, due anni prima di morire, pubblicò "Le basi chimiche della morfogenesi", l'unico articolo che riuscì a terminare, nonostante ne avesse iniziati altri. Nell'articolo Turing si pose il problema di come fosse possibile che da una singola cellula uovo che si divide in altre cellule identiche, potesse svilupparsi un bambino piuttosto che uno scoiattolo o un geranio. Cercò di sviluppare un modello matematico che potesse descrivere la morfogenesi, arrivando a strutturare una teoria affascinante ma incompleta. Teoria che si basava su un concetto cruciale in fisica quantistica: la rottura spontanea di simmetria. Mediante questa intuizione è possibile spiegare come un sistema in una configurazione iniziale simmetrica, come una sfera, può giungere ad assumere una configurazione non simmetrica. Le ricerche in questa direzione non furono mai terminate.
La mente e il corpo di Alan Turing stavano combattendo un'altra battaglia, ben diversa dalla risoluzione di problemi matematici.
Nello stesso anno dell'articolo sulla morfogenesi, Turing denunciò in commissariato due ladruncoli che si erano intrufolati in casa sua. Durante l'interrogatorio emerse che il matematico aveva avuto rapporti omosessuali con uno dei due ladri.
Per "atti osceni gravi" Turing venne imprigionato il 31 marzo 1952. Il suo calvario era appena iniziato. L'Inghilterra omofoba e puritana non poteva tollerare simili deviazioni, e Turing fu processato. Venendo riconosciuto insigne scienziato, nonché eroe di guerra, sebbene per meriti sconosciuti, gli fu concessa la possibilità di salvarsi dal carcere al quale era stato condannato, a patto di sostenere un trattamento a base ormonale, che lo "curasse" dalla malattia e lo rendesse impotente. Turing accettò. Fu l'inizio della fine.
Il bombardamento ormonale a cui fu sottoposto iniziò a minarne il fisico, la mente e il morale. Sempre sorvegliato dai servizi segreti, impossibilitato ad avere una vita normale si gettò a capofitto nel lavoro. Ma era sempre più stanco, depresso, insoddisfatto, sull'orlo del tracollo. Fino a quando la crisi non divenne insuperabile. Nel 1953, la polizia interrogò senza tanti riguardi un amico di Turing giunto in Inghilterra per venirlo a trovare. Fu il colpo di grazia. I soprusi a cui era continuamente sottoposto lo portarono a prendere la decisione estrema. Il teatro fu il grande amore della sua vita e con un atto che ricordava la scena tanto amata della strega cattiva di Biancaneve, il 7 giugno del 1954 immerse una mela nel cianuro e la morsicò. Nel referto medico venne scritto "Causa del decesso: cianuro di potassio autosomministrato in un momento di squilibrio mentale".
Nel nuovo millennio le domande di Turing non hanno trovato ancora risposta. Nel 1982, nel celebre capolavoro di R. Scott, Blade Runner, Harrison Ford interrogava alcuni individui, invero mediante uno strano apparecchio, facendo loro domande apparentemente banali per capire dalle loro rispose se, dietro l'apparenza di esseri umani normali, potevano invece essere pericolose macchine robot. Per ora solo la fantascienza ha dato una risposta alla domanda "le macchine possono pensare?".
A cura di Paolo Magionami - Revisione 2012 Redazione Torinoscienza