Com’era la vita quotidiana di un comune cittadino sovietico?
21 Apr 2020
articolo di Nikolaj Shevchenko
La scuola, i campi estivi dei Pionieri, la cucina spartana, l’arte di arrangiarsi, ma anche i sogni e le piccole illegalità per procacciarsi i jeans stranieri. Ecco come si viveva nell’Urss .
I bambini sovietici
“Grazie, compagno Stalin, per la nostra infanzia felice!” Questa frase, coniata durante una parata di atleti sulla Piazza Rossa del 1936, divenne presto uno degli slogan propagandistici sovietici più memorabili.
In effetti, l’infanzia in Unione Sovietica non era priva di pregi. Il congedo parentale in Urss fu a lungo di soli sei mesi, prima di essere esteso a 18 mesi negli anni Settanta. I bambini dovevano quindi socializzare presto: i più piccoli andavano al nido, prima di passare all'asilo e, al compimento dei 7 anni, iscriversi a scuola. E a 9 anni si entrava anche nell’associazione dei Pionieri, iniziando così il proprio percorso nelle organizzazioni comuniste.
I campi estivi dei Pionieri
Durante le vacanze scolastiche, i bambini sovietici andavano nei campi dei Pionieri, disseminati in tutta l’Urss. I più fortunati andavano ad Artek, considerato il più prestigioso e famoso campo dei pionieri sovietici, situato in Crimea, sulle rive del Mar Nero. Con il tempo, il campo divenne un simbolo, non solo per l’Unione Sovietica, ma anche in varie altre nazioni, quando iniziò ad accogliere ospiti dagli altri Paesi del blocco socialista.
I genitori sovietici
I genitori sovietici di solito lavoravano, e non restavano certo a casa per crescere i propri figli, ma stabilirono le loro usanze e tradizioni di buona genitorialità. Molta attenzione veniva dedicata alla routine quotidiana del bambino sin dalla più tenera età. Dormire, mangiare, giocare, studiare si riteneva che dovessero avvenire secondo un orario rigoroso, sempre uguale e sempre rispettato.
La propaganda sovietica suggeriva di educare i bambini alla modestia, all’amore per lo sport, all’abnegazione e alla responsabilità.
L’istruzione sovietica
Alla fine del XIX secolo, solo il 21% della popolazione del Paese era alfabetizzata. Quando i bolscevichi salirono al potere dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, decisero di combattere l’analfabetismo con tutti i mezzi disponibili. La prima pietra miliare fu il lancio della campagna “Likbez” (liquidazione dell’analfabetismo), che stabilì le basi del sistema educativo sovietico.
In pochi decenni, i sovietici furono in grado di trasformare uno Stato in gran parte composto da analfabeti in una delle due superpotenze mondiali, che ospitava anche alcune delle più grandi menti del tempo. Particolare attenzione veniva prestata alla matematica e alle scienze naturali.
La vita spartana sovietica
L’obiettivo del governo comunista era quello di sradicare lo stile di vita elitario praticato da alcuni ristretti gruppi di persone nella Russia imperiale. Per raggiungere questo obiettivo furono colpite milioni di persone in tutta la vasta Unione Sovietica. Ad esempio, gli spaziosi appartamenti di Mosca e San Pietroburgo vennero trasformati in appartamenti comuni (noti con il nome di kommunalki) per “ottimizzare” la disponibilità di alloggi: ai vecchi proprietari veniva lasciata solo una stanza per la loro famiglia e le loro cose, e il resto dei locali era assegnata ad estranei. I servizi e la cucina erano in comune.
Ogni manifestazione di lusso era odiata e duramente criticata dai compagni comunisti, anche se segretamente anche molti di loro sognavano una vita un po’ più ricca. “Ma ci insegnavano che ogni comfort era una forma di filisteismo”, ci ha detto una donna cresciuta in Urss.
I sogni sovietici
Anche se l’ideologia ufficiale incoraggiava il pauperismo, molti cittadini sovietici bramavano i beni materiali di lusso che scarseggiavano.
Chi viveva in appartamenti comuni sognava di trasferirsi in un appartamento non condiviso. Questo problema venne parzialmente risolto da Nikita Khrushchev, che lanciò la costruzione in serie di case popolari, in seguito note come “khrushchjóvki”.
Tuttavia, molti beni materiali rimasero scarsi e irraggiungibili per la maggior parte dei cittadini dell’Urss. Auto, buoni vacanza, viaggi all’estero e merci straniere erano oggetti di intenso desiderio.
La dieta sovietica
“Shchi da kasha, pishcha nasha!” (“Lo shchi e la kasha sono il nostro cibo”) era un modo di dire molto comune in Urss, che ben descriveva la semplicità della cucina sovietica. Lo shchi è una zuppa a base di crauti, e la kasha è il porridge russo.
Molte persone ricordano la carenza di prodotti alimentari e le lunghe file praticamente per ogni acquisto.
Coloro che avevano l’opportunità di recarsi a Mosca, di solito ripartivano per le loro città carichi di prodotti rari o impossibili da procurarsi in provincia, dando vita al fenomeno dei “treni del salame”, soprannome dovuto al forte odore di salumi, diffuso dai carichi trasportati.
La frugalità e altre abitudini sovietiche Dal momento che i sovietici erano abituati alla penuria, non gettavano mai nulla, trasformando i loro balconi e garage in magazzini permanenti. Buttare via le cose era considerato uno spreco. E molte di queste abitudini i russi non riescono nemmeno oggi a scrollarsele di dosso.
Alcuni oggetti unici, rari o comunque preziosi non venivano nemmeno mai utilizzati, ma tenuti da parte per un futuro più radioso. Servizi di porcellana o abiti eleganti di solito raccoglievano polvere negli scaffali e negli armadi fino a quando non passavano di moda e potevano finire sul balcone o in garage.
L’arte di arrangiarsi sovietica
Poiché il governo sovietico bandiva o non riusciva a offrire sul mercato numerosi beni che erano ampiamente desiderati dal popolo sovietico, quest’ultimo dovette prendere la questione in mano e aguzzare l’ingegno.
Praticamente ogni famiglia sovietica aveva la tecnologia e le conoscenze per produrre acqua gassata in casa, mentre gli inventori più avanzati trasformavano le vecchie lastre dei raggi X in qualcosa di simile ai dischi in vinile per ascoltare musica occidentale piratata.
Sebbene i beni di fabbricazione estera fossero molto richiesti in Urss e non esistesse una legge diretta che vietasse di possederli, era illegale venderli e/o acquistarli. Di conseguenza, alcuni cittadini sovietici si trasformarono in fartsóvshchik (o fartsa), un termine che indicava chi illegalmente si procurava e rivendeva beni di fabbricazione estera in Urss.
Molti giovani temerari e ambiziosi inseguivano i turisti stranieri e li convincevano a scambiare jeans, gomme da masticare, borse, sigarette e praticamente qualsiasi altra cosa avessero, in cambio di alcuni beni sovietici di valore discutibile. In seguito, rivendevano quei beni di fabbricazione straniera ai concittadini sovietici, guadagnandoci su. Anche se questa attività era perseguibile penalmente in Unione Sovietica, il movimento fartsa divenne rapidamente un ampio fenomeno culturale.