Storie incredibili

Storie incredibili

Arthur Ashe da bambino non aveva il fisico da sportivo, era mingherlino e non molto alto. Eppure, divenne non solo un tennista di prima categoria, ma anche un simbolo, il simbolo di tante prime volte. Un messaggero di speranza.

Nato nel 1943, da ragazzo non poteva giocare con tennisti bianchi, perché nella Virginia degli anni ’50 vigevano ancora le leggi razziali. Lui però era bravo, molto bravo, tanto che a vent’anni riuscì a rompere un tabù che sembrava infrangibile: fu il primo tennista afroamericano a essere selezionato per giocare nella squadra statunitense di Coppa Davis.

Pochi anni dopo fu il primo afroamericano a vincere gli US Open. Divenne uno dei migliori giocatori al mondo, eppure nel 1968 il governo sudafricano gli impedì di partecipare agli Open di Johannesburg negandogli il visto, perché un nero non poteva giocare con i bianchj. Ashe non si limitò a protestare, ma avviò una forte campagna di denuncia contro l’apartheid. Solo nel 1973 Ashe potrà giocare agli Open sudafricani, primo tennista nero a disputare un match professionistico. Ma a lui non basta. Chiede, e ottiene tre condizioni: che non ci sia segregazione sugli spalti, libertà di andare ovunque (e infatti incontrerà diversi giornalisti di colore oltre ai ragazzi di Soweto), e che non sia considerato un “bianco onorario”. Lui con la sua presenza a Johannesburg non vuole essere solo un simbolo, vuole portare un messaggio di speranza che le cose potranno presto cambiare.

Ma è con la vittoria a Wimbledon nel 1975, quando ha battuto il favorito Jimmy Connors, che Artur Ashe entra di diritto nella storia del tennis.

Purtroppo però dopo pochi anni, un infarto e vari problemi cardiaci lo costringono a lasciare i campi da tennis. Rimarrà nell’ambiente, come commentatore e giornalista, senza mai accantonare il suo impegno per i diritti civili. Tanto che nel 1985 fu arrestato per una manifestazione davanti all’ambasciata sudafricana per protestare contro l’Apartheid.

Un idealista, un attivista, un sognatore, non solo un tennista.

Ma la storia purtroppo a questo punto diventa drammatica. Nel 1988 Ashe scopre di aver contratto l’AIDS, in seguito a una trasfusione durante un intervento chirurgico al cuore.
Se all’inizio lui e la moglie non vogliono rendere pubblico il suo stato di salute, a un certo punto lui decide di non nascondersi per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa terribile malattia. Fonda la Arthur Ashe Institute for Urban Health, una fondazione per aiutare chi non ha un’assicurazione sanitaria sufficiente, si fa promotore di diverse campagne per la raccolta di fondi, e cerca di combattere quello stigma sociale che ancora ricopriva i malati di AIDS, raccontando la sua storia: può capitare anche con una trasfusione…

Morirà il 6 febbraio 1993, ma pochi giorni prima, raccontando la sua vicenda, fa un’ultima toccante dichiarazione:
“Vi prego di non considerarmi una vittima. Io sono un messaggero”
Un idealista, un grande uomo, un simbolo. Fino all’ultimo.

🦋La farfalla della gentilezza🦋

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