“Tierra, tierra!”
Questo fu il grido che, alle due del mattino del 12 ottobre del 1492, risuonò sulla “Pinta” per bocca del marinaio di guardia, Rodrigo de Triana, dopo quasi 40 giorni di traversata oceanica in mezzo a bufere e difficoltà di ogni tipo, con la prua puntata sempre verso ovest, cioè verso l’ignoto.
La ricerca della "via breve per le Indie" era diventata da anni il chiodo fisso del genovese Cristoforo Colombo, uomo scontroso e solitario, ma al tempo stesso dotato di grande carisma personale, nato lanaiolo e morto ammiraglio che, basandosi sui racconti dei marinai, sulle carte nautiche dell'epoca e sui detriti che di tanto in tanto spiaggiavano sulle coste delle Azzorre, si era convinto che aldilà dell’immensa distesa d’acqua antistante le coste portoghesi si trovasse una terra che, essendo ancora sconosciuto il continente americano, fosse l'Asia.
Dopo aver inutilmente cercato d’indurre re Giovanni II del Portogallo a finanziargli l'impresa, il nostro ci provò con i "Reyes Catolicos", Isabella e Ferdinando, i quali sottoposero il suo progetto ad una commissione di studiosi che però lo bocciò.
La cocciutaggine tutta ligure di Colombo però non lo fece desistere e a distanza d’un paio d'anni, grazie anche all’aiuto del vescovo Alessandro Geraldini, confessore personale della regina, riuscì a fare cambiare idea a quest’ultima, ottenendo così il finanziamento di quell'impresa che, per i tempi in cui veniva tentata, era tanto ardita quanto gli attuali progetti di inviare l’uomo su Marte.
Alzate le vele al vento, il 3 agosto del 1492 le tre caravelle di Colombo lasciarono il porto di Palos dirette alle Canarie, da dove poi avrebbero fatto il gran salto verso occidente, prendendo il largo circa un mese dopo dall'isola di Gomera.
La scelta di Colombo fu quanto mai felice, intesa com'era a sfruttare al meglio la spinta degli alisei, i venti che soffiando costantemente alle loro spalle avrebbero gonfiato le vele quadre di quei piccoli legni.
L'ammiraglio mantenne la rotta basandosi su calcoli astronomici eseguiti con l’ausilio di un rudimentale sestante e di un astrolabio. Ben presto però si trovò a combattere contro il nemico più insidioso: l'incertezza circa la loro destinazione e i dubbi sulla saggezza di quella scelta.
Col passare dei giorni, sempre uguali in quel deserto d'acqua, lo sconforto degli equipaggi crebbe fino a sfiorare l'ammutinamento, costringendo l’ammiraglio a falsificare il giornale di bordo per ridurre il numero di miglia quotidianamente percorse.
Anche i dissidi col suo secondo Martin Pinzon montarono a livello di guardia, finché il 7 ottobre un provvidenziale stormo di uccelli, avvistati mentre volavano verso sud-ovest, lo convinsero a seguirli, consentendo di lì a pochi giorni al marinaio di guardia di lanciare quel grido tanto atteso.
Dopo il canto del “Salve Regina”, ecco dunque quei pionieri sbarcare dalle loro scialuppe per mettere piede, per la prima volta da parte di cittadini europei, sul Continente americano, in un’isoletta che nella lingua degli abitanti locali si chiamava “Guanahanì”, poi ribattezzata da Colombo col nome di “San Salvador”.
L’impronta lasciata dall’ammiraglio su quella spiaggia, oltre a segnare il passaggio da un’età (il Medioevo) a un’altra (l’Era Moderna) ebbe forse la stessa rilevanza di quella impressa da Neil Armstrong sul suolo lunare, con buona pace di quanti oggi rimpiangono che ciò sia avvenuto.
La storia, infatti, è un'automobile priva di retromarcia!
Accompagna questo scritto il “Ritratto postumo di Cristoforo Colombo”, di Sebastiano Del Piombo, 1519, MOMA, New York.