La vicenda di Olive Oatman fu una delle più famose storie di prigionia da parte degli indiani, e il ritratto della giovane, che più tardi venne rilasciata, fece il giro del mondo. Sul suo viso rimase impresso il segno della dolorosa vicenda, in quanto fu la prima donna di origine europea, a venire tatuata sul volto con dei motivi tribali, un marchio che poi cercò inutilmente di cancellare e che invece l’accompagnò fino alla morte, avvenuta nel 1903.
Gli Oatman erano una famiglia di mormoni scissionisti originari dell’Illinois, che avevano deciso di seguire il loro profeta James Brewster nel periglioso viaggio verso ovest alla ricerca della terra promessa. Quando partirono con una carovana da Independence, Missouri, nell’estate del 1850, i coniugi Oatman avevano già sette figli e la donna era in attesa dell’ottavo nascituro.
Dopo diversi mesi e traversie che costrinsero la gran parte degli emigranti a separarsi durante il tragitto, gli Oatman raggiunsero in solitaria le rive del fiume Gila nell’Arizona sudoccidentale. Qui vennero avvicinati da un piccolo gruppo di Yavapai, che insistettero per avere del tabacco e del cibo. Royce Oatman, il padre di Olive, per paura di finire troppo presto le provviste, tentennò alla richiesta degli indiani. Quell’esitazione gli fu fatale! Gli Yavapai si scagliarono furenti sugli emigranti e li uccisero con i tomahawk, compreso l’ultimo nato di appena due anni. Furono risparmiate solo le due ragazzine, Mary Ann di 7 e Olive di 14 anni, che vennero rapite per farne delle schiave, mentre il figlio più grande degli Oatman, il diciassettenne Lorenzo, venne lasciato sul terreno agonizzante perché creduto morto. Quando il ragazzo si riprese, trovò davanti a sé i cadaveri massacrati di tutti i suoi famigliari, tranne quelli delle due sorelle. Ferito e con la forza della disperazione, si trascinò per quasi un centinaio di miglia nel deserto fino a un minuscolo villaggio, nel quale finalmente venne soccorso.
Nel frattempo le due ragazzine furono portate a un insediamento Yavapai sulle montagne, dove per diversi mesi le costrinsero a lavorare come schiave fino allo sfinimento. Un giorno giunsero al villaggio alcuni indiani Mohave per commerciare, e notando le due sorelline prigioniere, offrirono ai sequestratori due cavalli, alcune coperte e un pacco di perline per il loro riscatto. Gli Yavapai accettarono, e Olive e la sorellina seguirono i nuovi padroni in un lungo viaggio verso il fiume Colorado, al confine tra Arizona e California. Una volta giunte al villaggio mohave, la loro condizione migliorò, al punto da venire adottate dalla famiglia del capo Kohot e integrate nella tribù.
Quattro anni più tardi una terribile siccità, seguita dalla carestia, stroncò la giovane vita di Mary Ann e di altri indiani della regione. La stessa Olive rischiò di morire e venne salvata in extremis, grazie alle ultime razioni di cibo che le erano state messe da parte. Nonostante questa tragedia l’avesse sconvolta, Olive non usò mai parole di biasimo nei confronti dei Mohave, che a differenza dei suoi primi carcerieri, non avevano mai sottoposto lei e la sorella a un regime di ferrea schiavitù.
Nel 1859 un indiano Yuma arrivò nel villaggio con un messaggio da parte delle autorità. Si era sparsa la notizia che una giovane donna bianca era da tempo tenuta prigioniera dai Mohave e il Comando di Fort Yuma ne ordinava l’immediato rilascio. Fu così che iniziarono le trattative per la liberazione di Olive Oatman, e non fu un’impresa facile. I suoi nuovi famigliari si erano affezionati alla ragazza, e lei stessa si dimostrò riluttante a lasciare i Mohave dopo tutti quegli anni vissuti insieme. Inoltre credeva che tutti i membri della sua famiglia fossero stati uccisi nel massacro compiuto dagli Yavapai sul fiume Gila. Non sapeva invece che suo fratello Lorenzo non aveva mai smesso di cercarla per tutto quel tempo e l’attendeva a Fort Yuma per riabbracciarla. La notizia del loro incontro dopo tutti quegli anni di sofferenze e separazione, campeggiò nei titoli dei giornali di tutto il West.
Olive Oatman affermò in seguito di non aver mai subito alcun abuso sessuale, sia dagli Yavapai e tantomeno dai Mohave, ma alcuni dubbi rimangono, compreso il fatto che fosse andata sposa a un uomo mohave, da cui avrebbe avuto due bambini.
Il rientro nella società civile si trasformò in un successo mediatico per Olive Oatman, che venne indotta da un pastore, tale Royal Byron Stratton, a scrivere un libro sulla sua esperienza. La pubblicazione, dal titolo “Life among the indians”, fu per l’epoca un successo editoriale e Olive divenne una celebrità, invitata a congressi e conferenze in tutto il Paese. Fu durante uno di questi interventi pubblici che incontrò l’uomo che l’avrebbe presa in sposa, John Fairchild, il quale aveva perso il fratello in un attacco degli indiani.
Olive e il marito andarono a vivere a Sherman, Texas, dove egli fondò la City Bank of Sherman, mentre lei, ormai ricca e famosa, si dedicò a opere di beneficienza. La coppia non ebbe mai figli, ma adottò una bambina rimasta orfana, e per tutti quegli anni, Olive indossò un velo alla maniera delle donne musulmane per coprire i tatuaggi sulla parte bassa del volto, che suscitavano la curiosità morbosa della gente.
Olive si spense nel 1903 all’età di 65 anni, stroncata da un infarto. La cittadina di Oatman, nella Mohave County, Arizona, porta ancora oggi il suo nome.