Di Rita Atria si parla spesso come «la settima vittima di via D’Amelio», la strage che uccise Paolo #Borsellino e la sua scorta.
Rita aveva 17 anni quando è morta, il 26 luglio 1992, una settimana dopo la strage di mafia, lanciandosi dal settimo piano di un palazzo del quartiere Tuscolano, a Roma, dove viveva sotto la protezione dell' alto commissariato antimafia.
Collaborava con la giustizia, Rita: suo padre e suo fratello erano stati ammazzati nella guerra fra cosche a Partanna. Quando il giudice Borsellino è stato ammazzato ha pensato che tutto fosse perduto: «Adesso non c'è più chi mi protegge, sono avvilita, non ce la faccio più».
Vi basti pensare questo: in un'udienza del processo a numerosi componenti della mafia di Partanna, un pentito rivelò che la notizia della morte di #RitaAtria fu accolta nel carcere di Trapani con un lungo applauso.
A trent’anni dalla morte di Rita Atria non solo è necessario ricordare la sua breve vita e la sua storia di coraggio, ma anche chiarire tutto quel periodo avvolto in troppe domande, soprattutto sulla dinamica della morte a Roma.
C’è chi infatti non crede al suicidio di questa importante testimone anti-mafia e chiede la riapertura delle indagini.
«L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo».